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La rubrica ‘Inventario’ di questo numero di «Luk» trae l’abbrivo da iniziative promosse dalla Fondazione Ragghianti nell’anno di riferimento e prende spunto dalla mostra Pianeta città, ma, anche in ossequio al suo carattere multidisciplinare, con un saggio di Daniele Ietri non afferente ai tradizionali temi e approcci trattati e incarnati dalla rivista. Più ‘classiche’, benché mai scontate, sono le altre sezioni, stavolta al gran completo, con il ritorno di un dossier monografico, composto da tre testi di notevole rilievo (cui hanno contribuito Claudia Becchimanzi, Emanuela Ferretti, Lorenzo Mingardi, Francesca Tosi e Davide Turrini) che ruotano attorno alla costruzione del Made in Italy negli anni del secondo Dopoguerra, in special modo nel rapporto tra il nostro Paese e gli Stati Uniti. Questo importante focus è preceduto dagli ‘Studi ragghiantiani’ e da quelli ‘lucchesi’, rispettivamente con il saggio di Paolo Bolpagni contenente la pubblicazione integrale del carteggio tra lo storico dell’arte e il pittore Moses Levy e con il testo di Roberto Calabretto e Francesco Verona sulla musica nei critofilm (frutto del convegno che si tenne in due giornate, in collaborazione con la Fondazione Ugo e Olga Levi, nel novembre del 2019 a Venezia e a Lucca), e con i contributi di Valentino Anselmi, Costantino Ceccanti, Paola Betti e Michela Giuntoli, che coprono un ampio arco cronologico che va dal cinquecentesco pergamo della chiesa di San Michele in Foro ai disegni di Pietro Nerici (1918-1995) per il Santuario della Madonna del Carmine, passando per l’attività dell’architetto ‘serliano’ Agostino Lupi tra la seconda metà del XVI e l’inizio del XVII secolo e per la figura del pittore fiorentino Pier Dandini (1646-1712), nel rapporto con i suoi committenti lucchesi. Come da prassi, la rivista si chiude con la sezione ‘Varia’, che raccoglie saggi differenti per argomenti, metodologia e àmbito temporale e tipologico di riferimento. Qui troviamo due testi di Maurizia Tazartes (uno su Orazio Riminaldi, che prende le mosse dalla mostra dedicatagli nel 2021 a Pisa, e l’altro sull’arte a Torino negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento), un dotto studio di Francesco Parisi su Heinrich Heyne, pittore del novero dei Deutsch-Römer riscoperto e inserito nel quadro del Simbolismo mitteleuropeo, e infine un intervento di Benedetta Saglietti sullo scultore tedesco, nato in Assia nel 1957, Stephan Balkenhol, famoso per le sue inquietanti opere lignee tridimensionali.

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